4 aprile 2020
Gli psicologi sono anch’essi al fronte nella guerra al coronavirus. Lo sono negli studi privati,
dove lavorano via Skype, videochiamate, telefono; sperimentano le angosce di morte della
pandemia; s’interrogano su quanto destabilizzi l’incertezza su «quando finirà». Lo sono nelle
istituzioni. L’Ordine degli psicologi della Lombardia ha varato il «Progetto emergenza Covid-19» a supporto di colleghi, enti locali, Protezione Civile. Le società analitiche hanno invitato i soci a offrirsi per l’ascolto di medici, infermieri, volontari. È cresciuta la convinzione che tamponare gli stress da guerre, catastrofi, migrazioni, violenze di massa è fondamentale, ma non basta. La psicologia dell’emergenza va pensata insieme al dopo: cosa sarà di donne e uomini segnati nel corpo e nell’anima, come ricostruire la psiche oltre all’economia. Una bomba a orologeria per la psiche di individui e la convivenza.
La sfida al Covid-19 sta nella cura che contenga in sé un’immagine del domani. Psicoterapeuti e psicoanalisti cominciano a figurarsi alcune prospettive alla luce delle drammatiche settimane in cui si son resi conto che stava accadendo qualcosa per cui essi stessi, specialisti nel dare senso a ciò che turba, non erano attrezzati; che Freud e Jung e le relative scuole erano un patrimonio, ma altra la realtà da affrontare; che ci si sentiva impotenti dinanzi a pazienti smarriti dal buio circa il futuro per sé, i figli, il Paese. A un mese dall’impatto dello «state a casa» emergono indicazioni per il lavoro prossimo. Ecco alcune piste.
La prima va nella direzione di una riumanizzazione. Alla psicologia tocca operare un riequilibrio psichico di singoli e società dopo lo tsunami dei contagi che ha trasformato certezze in precarietà, messo in discussione modelli di sviluppo, mete sociali, stili di vita. Eventi tragici hanno ricollocato le persone al centro rispetto a interessi economici, finanziari, politici; restituito al soggetto il ruolo di protagonista: non solo utente, consumatore, cliente. Psicologia individuale e sociale dovranno attrezzarsi perché soggetti e comunità imparino a gestire un nuovo welfare, un privato che ha il limite nelle esigenze comuni, un nuovo umanesimo nella cultura, nella vita associativa, nella partecipazione alla cosa pubblica.
La seconda direzione punta a recuperare consapevolezza di quanto è preziosa la vita! Divenir coscienti d’essere sopravvissuti a un male che poteva portare anche me in una bara trasportata da camion militari darà forza e valore all’esistenza: vivere di tutti i giorni e prospettive di senso; gestione del corpo e dell’anima; percezione di limiti e potenzialità della condizione umana su una scala di valori da condividere e di destini comuni. Chi è sopravvissuto ha a disposizione psicologica ad attaccarsi a idee forti, per le quali merita stare al mondo e lottare. La sopravvivenza conferisce tonalità affettive capaci di tradurre le idee in scelte etiche, politiche, economiche.
La terza direzione fa rivalutare il tempo psicologico rispetto al tempo cronologico. È tempo
ritrovato che trasforma la reclusione dentro casa in tempo interno. Le relazioni forzate sono
occasioni per reinventare rapporti psicologici in famiglia, coi figli, con amici recuperati via social.
È il kairòs, il tempo da non lasciarsi scappare. Sono opportunità, creatività, riscoperte da cogliere al volo: la confidenza col mistero e l’imprevisto, forse con Dio.
La quarta direzione fa discernere tra mentalità e comportamenti. Questi possono essere
straordinari, come le raccolte fondi. Ma scemano a emergenza finita. Individui e socialità invece cambiano se diventano mentalità, assetto psicologico strutturato, se la solidarietà di una stagione è modo di vedere la vita e comportarsi, se da gesto occasionale l’offerta in danaro si fa psicologia del dono. Restituire alla collettività ciò che essa ci dà tutti i giorni e, se serve, nell’emergenza è una rivoluzione per la psiche, oltreché, ad esempio, una ragione per pagare tutti le tasse. Il cuore trasformato è la sconfitta del Covid-19.
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